Sempre ricorribile per cassazione la sentenza di non doversi procedere nei confronti dell’assente
Aldo Aceto
Consigliere della Corte di cassazione
Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione con la sentenza 13 febbraio 2025, n. 5847 hanno dato risposta al seguente quesito: «Se la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’ art. 420-quater c.p.p. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall’ art. 159, ultimo comma, c.p.».
La soluzione |
La sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. può essere impugnata da tutte le parti con ricorso per cassazione, proponibile per tutti i motivi di cui all’
art. 606, comma 1, c.p.p., anche prima della scadenza del termine previsto dall’ art. 159, ultimo comma, c.p. |
I precedenti | |
|
In tema di impugnazioni, la sentenza di non doversi procedere ex art. 420-quater c.p.p. per mancata conoscenza, da parte dell’imputato, della pendenza del processo, per il principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, non è ricorribile per cassazione, fintantoché non sia spirato il termine previsto dall’ art. 159, ultimo comma, c.p., trattandosi di pronunzia revocabile, di natura sostanzialmente interlocutoria, per la quale non opera la garanzia sancita dall’ art. 111, comma 7, Cost., riguardante i soli provvedimenti giurisdizionali aventi natura decisoria e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni giuridiche di diritto soggettivo. All’erronea dichiarazione di assenza potrà porsi rimedio chiedendo, dinanzi al giudice che l’ha pronunciata, la revoca della sentenza emessa ex art. 420-quater c.p.p. |
|
In tema di impugnazioni, la sentenza inappellabile di non doversi procedere ex art. 420-quater c.p.p. per mancata conoscenza, da parte dell’imputato, della pendenza del processo, è immediatamente ricorribile per cassazione per violazione di legge, quantomeno in relazione alla determinazione della durata delle ricerche dell’imputato, operando, in ordine al predetto provvedimento, la garanzia sancita dall’ art. 111, comma 7, Cost., riguardante i provvedimenti giurisdizionali aventi natura decisoria e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni giuridiche di diritto soggettivo |
Il caso e la questione di diritto
Con sentenza del 26 settembre 2023 il Tribunale di Genova aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.O. per mancata conoscenza del processo. In particolare, l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare era stato notificato presso lo studio del difensore di fiducia domiciliatario il quale aveva successivamente comunicato la rinuncia alla difesa dovuta all’impossibilità di avere contatti con il patrocinato, con conseguente omessa comunicazione della rinuncia al diretto interessato ex
art. 107 c.p.p.All’udienza preliminare l’imputato non era comparso e il giudice, rilevata l’insussistenza delle condizioni per procedere in sua assenza ai sensi dell’ art. 420-bis c.p.p., nella formulazione introdotta dalla L. n. 67/2014, nominato un difensore di ufficio, aveva disposto la notifica “a mani”, rinviando il processo ad altra udienza. Anche a tale udienza l’imputato non si era presentato e il giudice, dato atto della impossibilità di procedere alla notifica per irreperibilità, documentata nel verbale di vane ricerche, aveva pronunciato ordinanza di sospensione del processo secondo il disposto dell’allora vigente art. 420-quater c.p.p., aveva fissato la nuova udienza e disposto nuove ricerche, ai sensi dell’allora vigente art. 420-quinquies, comma 1, c.p.p. A tale ultima udienza, successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia), come disposto dalla normativa transitoria, il giudice, infine, applicava il novellato art. 420-quater c.p.p. e, sentite le parti, aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo.Avverso la sentenza aveva proposto ricorso il pubblico ministero deducendo, con unico motivo, la violazione degli artt. 420-bis e 420-quater c.p.p., osservando che nei confronti di chi elegge domicilio, nominando un difensore di fiducia nel corso delle indagini e rendendosi poi irreperibile, devono ritenersi realizzati i presupposti per la dichiarazione di assenza.Investita del ricorso, la Terza Sezione penale aveva rilevato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibilità di impugnare la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’ art. 420-quater c.p.p. e, con ordinanza del 2 aprile 2024, aveva rimesso gli atti alle Sezioni Unite.
La giurisprudenza precedente
Secondo un primo orientamento la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’ art. 420-quater c.p.p. è insuscettibile di ricorso per cassazione prima del decorso del termine di “non revocabilità” ostandovi il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione. Benché denominata “sentenza”, la pronuncia fino a che la sua efficacia non divenga stabile avrebbe piuttosto natura interlocutoria. Manca, inoltre, di ogni forma di accertamento nel merito della regiudicanda. Il suo particolare contenuto, destinato a venir meno con la “non revocabilità”, ricomprende la parte relativa alla vocatio in iudicium nonché le disposizioni alla polizia giudiziaria sulla prosecuzione delle ricerche, rendendola assimilabile ad un atto di impulso processuale, come tale insuscettibile di passare in giudicato.Alla esclusione della impugnabilità del provvedimento fino alla sua “non revocabilità” non osta, secondo tale orientamento, il principio di cui all’art. 111, comma 7, Cost., in quanto la garanzia costituzionale della impugnabilità delle sentenze riguarda solo i provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti, in cui non rientrerebbe la sentenza di non doversi procedere proprio a causa della sua natura sostanzialmente interlocutoria, destinata a risolversi una volta divenuta impossibile la revoca.Un secondo orientamento sostiene, al contrario, la immediata impugnabilità della sentenza che definisce, e dunque conclude, il processo iniziato con l’esercizio dell’azione penale e la richiesta di fissazione dell’udienza preliminare, sul presupposto della mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato. Ammettere tale possibilità è conforme ai principi costituzionali e convenzionali in materia di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione. Non convince, secondo tale orientamento, la tesi, prospettata dal contrario orientamento, secondo cui, all’eventuale errore del giudice (possibile anche su questioni diverse dalla valutazione della mancata conoscenza del processo da parte del prevenuto), possa ovviarsi chiedendo la revoca della sentenza. Il motivo è duplice: da un lato, il legislatore ha infatti espressamente limitato la revoca al caso di rintraccio dell’interessato e, dunque, lo strumento indicato sarebbe “anomalo”; dall’altro, la soluzione non tiene conto della natura immediatamente decisoria del dictum giudiziale relativo al termine delle ricerche.
Con decreto del 10 giugno 2024, la Prima Presidente aveva assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali fissando per la trattazione l’udienza pubblica del 26 settembre 2024.
La decisione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento.
In primo luogo, ribadiscono la generale ammissibilità del ricorso per cassazione anche per questioni non “di merito”, ma meramente processuali, secondo quanto già affermato da Cass. pen., Sez. Un., 17/7/2009, n. 29529, De M., che aveva affermato la portata generale della garanzia di impugnabilità delle sentenze di cui all’ art. 111, comma 7, Cost., confermata indirettamente proprio dall’esplicita esclusione delle sentenze sulla competenza, altrimenti da ricomprendere tra quelle ricorribili.Quanto alla specifica sentenza di non doversi procedere, le Sezioni Unite osservano, preliminarmente, che il presupposto della pronuncia è l’accertamento – anche fondato su elementi indiziari – della insussistenza delle condizioni per dichiarare l’assenza dell’imputato. Si tratta certamente, pertanto, di una pronuncia definitoria “di fase” come peraltro affermato anche dai lavori preparatori. Si tratta, inoltre, di provvedimento che, sul piano dei contenuti, ha gli elementi formali della sentenza (di cui richiama nel contenuto gli artt. 426 e 546 c.p.p.), pur presentando alcune particolarità che hanno indotto la dottrina (ma anche la Corte costituzionale: sent. n. 192/2023) a definirla come un provvedimento “bifronte”, in quanto chiude una fase processuale, ossia quella del rinvio a giudizio e della fissazione dell’udienza preliminare, esauritasi per la mancata formazione del contraddittorio, e contemporaneamente ne innesca una nuova, ossia quella delle ricerche dell’imputato e della vocatio in iudicium idonea a riaprire il processo esaurito. È un provvedimento destinato ad essere revocato nell’eventualità del rintraccio dell’imputato, contenendo a tale scopo l’ordine alla polizia giudiziaria di procedere alle ricerche al fine di notificargli l’avviso per l’udienza preliminare a data fissa davanti al medesimo giudice e per il medesimo processo. Nella sentenza deve, inoltre, essere indicata la data fino alla quale le ricerche dovranno continuare ai fini del rintraccio dell’imputato; il superamento di tale termine impedisce la revocabilità della sentenza e la ripresa del processo facendo venir meno l’efficacia delle misure cautelari custodiali personali e del sequestro probatorio, preventivo e conservativo che siano stati emessi, il mantenimento dei poteri istruttori relativi alle prove non rinviabili e della competenza sulle misure cautelari del giudice procedente.La sentenza di non doversi procedere è revocabile esclusivamente a seguito del rintraccio dell’imputato con la notifica a mani della sentenza che contiene la vocatio in judicium e con una relata di notifica che documenta la comunicazione della pendenza del processo, revoca prevista come automatica e consentita solo fino alla data indicata come conclusiva delle ricerche.
A questo punto le Sezioni Unite muovono da una riflessione di carattere generale, correlata al principio del controllo di legalità processuale esercitato – per Costituzione prima ancora che per regola ordinamentale e processuale – dalla Corte di cassazione. In questo senso, affermano, la sottrazione della sentenza ex art. 420-quater c.p.p. al controllo di legalità da parte dell’organo deputato all’esatta osservanza della legge non ha alcuna effettiva giustificazione. Pur trattandosi di pronuncia interlocutoria, suscettibile di revoca, e pur avendo natura strumentale, in quanto inclusiva di una ulteriore vocatio in ius, l’adozione della “sentenza” in questione riposa anzitutto su una serie di valutazioni del giudice in merito all’esistenza dei presupposti in ordine alla effettiva conoscenza o meno della pendenza del processo che giustificano la decisione di improcedibilità, in alternativa alla sequenza processuale ordinaria. Non importa, pertanto, che il provvedimento finale abbia natura “precaria” e sia destinato alla eventuale caducazione: ciò che rileva è che la sua adozione possa trovare origine in violazioni di legge che, ove si escludesse l’immediata ricorribilità in cassazione, risulterebbero incongruamente prive di formale rimedio.La sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’ art. 420-quater c.p.p. per un reato imprescrittibile, per esempio, non potrebbe mai diventare irrevocabile e, di conseguenza, secondo il primo orientamento, non potrebbe mai essere impugnata. Sicché, sostengono le Sezioni Unite, precludere l’intervento della Cassazione attraverso la immediata impugnabilità della sentenza in sede di legittimità, sottraendole il controllo sulla corretta applicazione della legge, non sarebbe né giuridicamente né logicamente tollerabile, posto che il presunto autore di un reato imprescrittibile – dunque, potenziale destinatario di una pena perpetua – finirebbe per perdere la qualità di imputato per un tempo indefinito, in ragione di un errore giudiziale non emendabile.Considerazioni analoghe possono essere fatte:
a) in caso di sentenza pronunciata ex art. 420-quater c.p.p. nei confronti dell’imputato già dichiarato latitante, ipotesi per la quale è la stessa legge processuale a stabilire, invece, espressamente che si debba procedere in assenza;b) per il caso – non certo infrequente – dell’erroneo calcolo del termine di prescrizione del reato: anche detto errore, tutt’altro che irrilevante – posto che dal tempo calcolato per la prescrizione del reato dipenderebbe anche quello della sospensione e, dunque, la stessa irrevocabilità della pronuncia – resterebbe irrazionalmente sottratto all’immediato sindacato giurisdizionale di legittimità.
Non osta alla ricorribilità per cassazione la natura “processuale” della sentenza. Pur trattandosi di pronuncia interlocutoria e suscettibile di eventuale revoca, la sentenza pronunciata ex art. 420-quater c.p.p. ha una sicura natura “decisoria”, in quanto è legata all’esercizio da parte del giudice di un indubbio potere valutativo volto ad affermare l’esistenza di presupposti che giustificano la decisione di improcedibilità, in alternativa alla sequenza processuale ordinaria. Del resto, annotano le Sezioni Unite, l’ordinamento processuale penale interno conosce numerose ipotesi in cui la ricorribilità in cassazione è stata espressamente prevista, nell’intento di fornire uno strumento immediato alle parti onde ottenere una verifica di legittimità su provvedimenti che, pur non avendo natura decisoria, incidono significativamente sullo svolgimento dell’attività processuale.A tal fine, la sentenza richiama l’immediata ricorribilità per cassazione di talune ordinanze che comportano la sospensione del giudizio (art. 71, comma 3, c.p.p.; art. 464-quater, comma 7, c.p.p.; art. 479, comma 2, c.p.p.; art. 721 c.p.p.), ricorribilità prevista in un’ottica di tutela dell’interesse delle parti, in special modo della parte pubblica, alla regolare ed immediata prosecuzione del processo e della sua ragionevole durata, o anche al fine di garantire un immediato controllo nei confronti di provvedimenti che anticipano una definizione alternativa rispetto a quella perseguita.Non convince, per le Sezioni Unite, la revoca della sentenza quale rimedio ipotizzato dal primo orientamento alla inappellabilità e non ricorribilità per cassazione; la revoca della sentenza è ordinariamente contemplata non già per emendare patologie processuali della pronuncia, quanto, unicamente, per (re)instaurare il rapporto processuale nell’ipotesi di fisico reperimento dell’imputato, secondo l’unica sequenza procedimentale legittimamente individuata dall’art. 420-sexies c.p.p. La disciplina, infatti, prevede espressamente un “unico fatto” cui consegue l’obbligo per il giudice di revocare con decreto la sentenza, vale a dire il rintraccio dell’imputato con notifica a mani della sentenza contenente la vocatio in iudicium, e con relata di notifica che documenti la “comunicazione” della pendenza del processo.Stabilita la possibilità di ricorrere per cassazione avverso le sentenze pronunciate ai sensi dell’art. 420-quaterc.p.p, le Sezioni Unite affermano la possibilità di ricorrere per tutti i motivi indicati dall’art. 606, comma 1, c.p.p. trattandosi di conseguenza necessaria della stessa ricorribilità del provvedimento: se, infatti, la ragione del ricorso è di offrire alle parti processuali la possibilità di evidenziare che il giudice ha erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti per la pronuncia della sentenza ex art. 420-quater, c.p.p., il rimedio sarebbe evidentemente incompleto ove venisse limitato alla sola violazione di legge.Le Sezioni Unite, inoltre, affermano che legittimate al ricorso sono tutte le parti, pubblica e private (parte civile e persona imputata).
La parte civile è naturalmente portatrice dell’interesse alla sollecita celebrazione del processo; una diversa conclusione pregiudicherebbe il diritto delle vittime ad ottenere un processo per l’accertamento dei fatti, che la normativa sovranazionale riconosce in relazione ai reati più gravi.
Non vi sono preclusioni nemmeno per l’imputato il quale è interessato non solo alla corretta indicazione del tempo necessario a prescrivere, ma anche, e soprattutto, ad ottenere una sentenza di proscioglimento nel merito e non meramente processuale che ne riconosca formalmente l’innocenza, fino a tale momento solo presunta.
Le Sezioni Unite disattendono il ragionamento secondo il quale la mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato comporterebbe automaticamente l’impossibilità per lo stesso di conferire lo specifico mandato ad impugnare tale sentenza. Non vi osta l’art. 581, comma 1-quater, c.p.p. poiché la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quaterc.p.p. viene emessa in difetto proprio della condizione necessaria per l’applicazione dell’art. 581, comma 1-quater, c.p.p., ossia la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato e dunque non contiene una formale dichiarazione di assenza. Non essendo l’imputato tecnicamente “assente”, il difensore non deve munirsi di uno specifico mandato ad impugnare la sentenza pronunciata ai sensi dell’ art. 420-quater c.p.p.Di qui l’affermazione del principio di diritto sopra indicato in attuazione del quale le Sezioni Unite hanno esaminato nel merito e rigettato il ricorso del pubblico ministero, osservando – in estrema sintesi – che:
a) nel sistema delineato dalla novella introdotta dal D.Lgs. n. 150/2022 (cd. riforma Cartabia) può procedersi in assenza solo se consti la conoscenza da parte dell’imputato del “processo”, in particolare della vocatio in ius, e non del “procedimento” (segnatamente della fase delle indagini preliminari), e che la mancata comparizione dell’imputato sia frutto di una scelta volontaria di non parteciparvi;b) la negligenza informativa dell’imputato – che non abbia mantenuto i contatti con il proprio difensore e si sia reso di fatto irreperibile – non può costituire, di per sé, prova della volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo.
Riferimenti normativi:
Art. 420-quater c.p.p.
Art. 159, ultimo comma, c.p.